David Byrne & Brian Eno - Everything that happens will happen today

7 marzo 2009

1. Home
2. My big nurse
3. I Feel my stuff
4. Everything that happens
5. Life is long
6. The river
7. Strange overtones
8. Wanted for life
9. One fine day
10. Poor boy
11. The lighthouse

Metti una sera a cena. Due amici di vecchia data conversano amabilmente del tempo, di donne, di progetti. Uno dice all’altro “Ehi! Ricordi l’ultima volta che abbiamo suonato insieme? Dai! Abbiamo fatto quel dischetto.. come si chiamava? Si si! Quello!! Forte! Qualcuno deve anche averlo comprato, vero? Che ne dici se ci riproviamo? Io fra un album dei Coldplay e un jingle per una nota casa produttrice di software, ho scritto qualcosina.. ti va di dargli un’ascoltata? “.

Che sia andata davvero cosi, non ci metterei la mano sul fuoco, fatto sta che questi due amici, al secolo Brian Eno e David Byrne, colossi della sperimentazione e proprietari di quell’ indiscusso genio musicale che ha dato voce e dignita’ ad un epoca (fine anni 70 e per tutto il decennio a seguire) dai contorni, e perche’ no anche dai contenuti, spesso nebulosi, hanno sfornato questo fresco (si fa per dire visto che e’ uscito in chiusura di 2008) Everything that happens will happen today. Ne sono passati di anni dal capolavoro dai toni sperimentali e a tratti apocalittici del precedente My life in the bush of ghost, pietra miliare della musica sintetizzata. 27 per la precisione. Anni di ricerca, di espansione se vogliamo. Spirali magiche che dalla musica passano attraverso tutte quelle possibili forme d’arte capaci di esplicitare l’irruenta carica che solo un emisfero sinistro su di giri puo’ contenere.

Chiaramente, col passare del tempo e con il moltiplicarsi delle esperienze, anche il modo di approcciarsi all’arte pretende un cambiamento, una maturazione, che spesso puo’ trovarsi nella riscoperta della semplicita’. E’ per questo che in Everything that happens.. ritroviamo i nostri amiconi a confrontarsi con brani dalla struttura piu’ “canzone”. Sono lontane le sperimentazioni percussive e ossessive che hanno caratterizzato il precedente album, ma non e’ questo di certo motivo di malinconia.

La storia, quella presente nell’artwork del cd, narra di brani che Brian Eno scrisse nel tempo. Brani chiaramente strumentali, senza una forma definita, ispirazione lasciata libera a pascolare senza recinti. L’avvento del pastore David ha portato questo potenziale ad una forma musicale piu’ canonica, plasmando con parole e melodie quello che la sua compagine aveva prodotto. Il ritorno ad una dimensione meno rarefatta, dai contorni familiari che ci ricordano di quanto siamo fatti di terra e cielo, reale e trascendente, sembra essere il motivo ricorrente di questo album, ad iniziare dall’artwork incentrato sull’immagine digitalizzata di una casa, che affonda sorniona le proprie fondamenta nel verde di un giardino degno del piu’ produttivo abitante di The Sims.

Everything that happens will happen today e’ composto di 11 tracce per un totale di poco meno di un’ora di musica, cosa che devo ammettere mi ha lasciato un tantino perplesso. I brani si susseguono in modo decisamente godibile grazie ai meravigliosi arrangiamenti ricamati su armonie e strutture semplici ma sempre incapaci, fortunatamente, di scadere nel banale. Non vi sembrera’ cosa strana ascoltare piu’ di una volta consecutivamente questo disco.

Insomma in tempo di crisi, se potete concedervi un lusso, vi consiglio di acquistare questo gioiellino e ascoltarlo fino allo sfinimento.

Queen & Paul Rodgers - The Cosmos Rocks

28 settembre 2008

1. Cosmos Rockin’The Cosmos Rocks
2. Time to Shine
3. Still Burnin’
4. Small
5. Warboys
6. We Believe
7. Call Me
8. Voodoo
9. Some Things That Glitter
10. C-lebrity
11. Through the Night
12. Say It’s Not True
13. Surf’s Up… School’s Out!
14. Small Reprise

Saro’ sincero: da questo album non mi aspettavo nulla di sconvolgente. Ho sempre visto con un certo disgusto reunion, rimescolamenti e tutta quella serie di minestre riscaldate che sembrano dover stare in piedi per forza, come uno stanco nonnetto il giorno del suo novantottesimo compleanno, con i nipoti accanto che lo compatiscono, stanchi anch’essi di sentire per l’ennesima volta di quando il loro progenitore festeggio’ il suo compleanno al fronte, con una torta di fango e un caricatore di munizioni extra con tanti auguri e cento di questi giorni dal generoso capitano.

Nonostante questo ho voluto ascoltare comunque The cosmos rocks, il lavoro che suggella il ritorno alla ribalta di uno dei gruppi piu’ poliedrici e piu’ acclamati (e forse alle volte anche lievemente sopravvalutati) dei nebulosi anni 80.
Questa recensione potrebbe girare intorno a come l’assenza del carismatico Freddy Mercury riesca a farsi sentire in ogni piega di questo disco, al fatto che il buon Paul Rodgers non sia in grado di reggere il duro confronto con il suo predecessore e che Brian May e compagni siano ormai vicini alla pensione, ma non e’ di questo che ho intenzione di parlare, anche perche’ fondamentalmente non sono pensieri che condivido in pieno. Quello di cui parlero’ e’ di un album che non ha molta voglia di stupire, vuole solo raccontare la storia del suo compleanno al fronte, che poi sia veramente la sua storia o quella di un commilitone poco importa, il solo raccontare basta a poter dire “sono vivo, sono qui, ora..”. Ma la cosa non mi meraviglia piu’ di tanto. Come dicevo, non mi aspettavo che questi nuovi Queen avessero voglia di riscrivere la storia del rock. Occasioni del genere capitano una volta nella vita, loro l’hanno avuta, l’hanno raccolta e portata al massimo dei giri ed ora gongolano gioiosi nella loro culla di fama e ricordi.
Parliamoci chiaro, The cosmos rocks NON e’ un pessimo album. Paul Rodgers e’ un ottimo frontman, con una canna non indifferente nonostante i sui 59 anni, e sono lodevoli i sui sforzi nel tentare di non assomigliare a Freddy (anche perche’ il buon Paul ha un bel po’ di storia alle sue spalle e non ha di certo bisogno di raccogliere scettri altrui per farsi ricordare) dalla voce al songwriting. Affianco a lui, la solida struttura che ha permesso a Freddy Mercury di decollare verso l’olimpo del rock: Brian May (che resta ancora uno dei miei chitarristi preferiti) e Roger Taylor. La voglia di suonare di certo non manca e si sente, sia da questo album sia dal carrozzone di live che portano in giro gia’ da qualche anno, come per ricordare ai fans che i Queen esistono ancora, con un’altra anima, ma con lo stesso corpo seppure affaticato. Quello che accade durante l’ascolto di The Cosmos Rocks, pero’, e’ un’insieme di strane reazioni che vanno dalla perplessita’ alla tenerezza fino al bruciore di stomaco, dovuto a quella fastidiosa ulcera che si imbestialisce ogni qualvolta le cose non vanno come dovrebbero. Dove sono i Queen in questo album? Dov’e’ finita la loro poliedricita’? Perche’ non hanno chiamato questo progetto con un altro nome tipo, che so, The kings, The undressed queen, Brian Roger & Paul? Cazzo, come Queen avete delle responsabilita’ e io a queste cose ci tengo! Probabilmente anche sotto altre vesti il mio giudizio sarebbe rimasto invariato, ma quanto meno mi sarei evitato il bruciore di stomaco cercando qualcosa che potesse giustificare il nome Queen.

Quello che abbiamo qui e’ un disco Rock, semplice e chiaro, con alcuni richiami al passato di Paul Rodgers e ai piu’ vicini anni 80 ma il sound originale della band inglese stenta a farsi sentire, come un gatto che si lamenta da dentro una scatola nel bel mezzo di una festa di rinoceronti.
Si inizia con il Rock’n roll infuocato di Cosmos Rockin, ben suonato e ben interpretato che lascia ben sperare. Con il proseguire del brano e’ chiaro che non e’ cosmos rocking in se a far ben sperare, e’ il rock’n roll che piace sempre e comunque, come il peperoncino: dove lo metti sta bene.
Seconda traccia, Time to shine, forse i rinoceronti si sono fermati a bere ed ecco il micio Queen uscire timidamente dalla scatola. Un brano particolare che forse merita piu’ di un ascolto.
Avanti con Still Burnin’, brano rock che sara’ per lo stile di Paul, sara’ per il ritmo cadenzato, ricorda molto la produzione dei Free. Anche qui dei Queen neanche l’ombra. All’urlo di “Rock’n roll never die” credevo che mi avessero venduto un disco fasullo e mentre penso a come denunciare il venditore ecco che il gatto salta fuori dalla scatola: stomp stomp cha, stomp stomp cha.. strabuzzo occhi e orecchie. E’ proprio il ritmo di We will rock you che sento uscire dalle casse! La cosa genera in me un’insolita ilarita’: che abbiano inserito questo richiamo per far ricordare al pubblico che quello che stanno ascoltando e’ ancora un disco dei Queen?
Proseguiamo con Small, una delicata ballata che e’ un inno alla sana solitudine di cui ogni tanto tutti abbiamo bisogno ["Everyone needs a place they can hide / Hide away find space to be alone"]. Registriamo un ottimo solo di Brian May che torna ad emozionare con il suo inconfondibile sound.
Traccia numero 5, The Warboys. Il piedino sull’acceleratore si appesantisce ed ecco che dal cilindro i nostri amati tirano fuori un brano Hard Rock che sembra uscito dalla discografia degli Skid Row. Il sound anni ‘80 fa da padrone ad un brano che sembrerebbe di denuncia verso i signori della guerra ma che personalmente ha lo spessore di una foglia di fico.
A seguire abbiamo We Belive, brano che risponde a The War Boys sul tema della guerra con un messaggio di pace e di ottimismo verso cio’ che il destino ci riservera’. Un brano sicuramente sentito che pero’ non riesce a convincermi nonostante i ripetuti ascolti.
Andiamo avanti con il rock frivolo di Call me, un brano dall’atmosfera spensierata che smorza decisamente i toni delle canzoni precedenti.
Giro di boa, cambio campo, siamo a meta’ disco e fin’ora le aspettative che mi ero fatto purtroppo non sono state deluse. Ammetto che questo mi fa quasi desistere dal continuare l’ascolto ma il dovere mi chiama.
Pausa pranzo e si ricomincia con Voodoo, un bel brano dalle atmosfere bluesy che lascia libero sfogo al buon Brian. I Queen ce li siamo persi strada facendo, ma va bene cosi perche’ qui e’ il cuore a parlare: con Voodoo ci godiamo questi quattro minuti di sincerita’.
Quello che segue Voodoo e’ una semi ballata piatta e piuttosto fastidiosa: Some things that glitter che secondo me non merita piu’ di un ascolto superficiale.
Si ritorna al rock con C-lebrity dove chitarroni e coretti alla Who ci ridestano dal torpore di Some things that glitter. Benedetto sia il rock quando viene a salvarci in queste infauste occasioni! Anche qui Paul e compari ci danno dentro pesantemente, dando vita ad un brano interessante ma che non va oltre questo.
Siamo quasi giunti al termine e sara’ forse l’ora tarda, sara’ forse che il senso di noia si e’ ormai insinuato nelle mie narici inebriandomi capacita’ uditive e visive, i successivi due brani sono passati senza alcun guizzo: Through the night e Say it’s not true. Ormai e’ chiaro: le pile si sono scaricate, le idee iniziano a scarseggiare e la lucidita’ a vacillare.
E ora di mandare a nanna i nostri eroi, di spegnere la luce e abbandonare le palpebre alla merce’ di Morfeo, ma non prima di Surf’s Up… School’s Out che ci da la spettinata della buonanotte. L’urlo animalesco di Paul nella intro del brano ci risveglia e fa sperare nella zampata finale di questo disco che decolla a fatica e quando riesce a librarsi in volo, nell’apice dello sforzo, cade rovinosamente a terra. Inutile dire che la zampata finale non c’e’ e anche Surf’s up va a finire nel cumulo delle “buone intenzioni”.
Insomma se siete abbastanza coraggiosi da ascoltare questo disco convincendovi che i musicisti che ci sono dietro non sono gli stessi di I want it all, Bohemian Rhapsody, A kind of magic e Radio ga ga nonostante la copertina dica il contrario, beh… buon ascolto!